curiosità varie sugli alpini bolognesi romagnoli

i rifugi intitolati ai nostri alpini

di Giuseppe Martelli

pubblicato il 15 luglio 2005

 

Forse non tutti sanno che fra i numerosissimi rifugi di montagna, ve ne sono alcuni dedicati ad alpini del nostro territorio. Quindi anche fra i bolognesi romagnoli vi sono state figure che hanno meritato l’intitolazione di rifugi in alta montagna che ritengo giusto ricordare, in onore al nostro motto “per non dimenticare”.

 


IL RIFUGIO “FRANCO CAVAZZA”

chi era Franco Cavazza?

Una delle sue rare fotografie.

Cavazza Francesco, che sarà sempre chiamato, conosciuto ed indicato anche in vari documenti ufficiali come Franco, nasce a Villa Bel Poggio, Bologna, il 5 ottobre 1915 dal conte Filippo e dalla contessa Belgrano Elvira (1). Nel 1920 si trasferisce con la famiglia a San Martino in Soverzano, Comune di Minerbio, nel castello che dal 1883 era di proprietà dei Conti Cavazza. Cresciuto in un ambiente intellettuale liberale, aveva ben radicato quel “senso di dovere civico” con il quale affrontava la vita. Dal 1923 al 1926 seguirà, con la famiglia, il padre a Tripoli dove gli era stato affidato l’incarico di dirigere l’Ufficio della colonizzazione, essendo un apprezzato esperto di agronomia e zootecnia. Qui prosegue gli studi con l’istitutrice Margherita Galvano fino al definitivo rientro a San Martino nel 1926. Prestante nel fisico e grande appassionato di montagna, si era iscritto alle Sezione bolognese del Club Alpino Italiano e nei momenti liberi dagli impegni di studio, ora frequenta il liceo-ginnasio “Galvani”, partiva per percorrere i sentieri della Val Gardena poi sempre più impegnative ascensioni dolomitiche. Questa sua padronanza della montagna, provetto sciatore e rocciatore, aveva certamente influito in occasione della visita di leva militare affrontata il 24 ottobre 1935, affinché la commissione ne indicasse quale Corpo di assegnazione gli Alpini.

Frontespizio della tesi di laurea
pubblicata nel settembre 1940.

Per il suo titolo di studio inoltre e frequentando il secondo anno della facoltà di Scienze sociali all’Università di Firenze, viene ammesso in graduatoria quale allievo ufficiale di complemento degli Alpini ed inviato alla Scuola di Bassano del Grappa dove giunge il 16 novembre 1935. Concluso il corso e nominato aspirante ufficiale di complemento, viene assegnato al 6° reggimento alpini per il servizio di prima nomina come Sottotenente che conclude il 1° dicembre 1936 ed è inviato in congedo. Ripresi gli studi universitari all'Università di Firenze, il 31 ottobre 1939 si laurea dottore in Scienze sociali e politiche discutendo la tesi di laurea - Le agitazioni agrarie in provincia di Bologna dal 1910 al 1920 -.

 

Con il clima di guerra che già pervade l’Europa, viene richiamato per istruzioni dal 14 dicembre 1939 al 13 gennaio 1940 presso la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento Alpini di Bassano del Grappa, quindi dal 14 gennaio al 13 febbraio 1940 presso il battaglione alpini “Bolzano” di stanza sempre a Bassano dove consegue l’avanzamento al grado di Tenente. Inviato in congedo, il 26 novembre viene nuovamente richiamato alle armi per speciali esigenze (l’Italia da giugno è già in guerra) presso il battaglione “Gemona” dell’8° Reggimento Alpini, Divisione “Julia.

copia del suo Stato di Servizio.

Con l’eroica e sanguinosa campagna che la “Julia” sta affrontando sul fronte greco-albanese, dove i suoi reparti hanno continuamente bisogno di rincalzi per rimpiazzare i numerosissimi caduti, viene costituito in Gemona l’8° battaglione complementi mobilitato, al quale viene assegnato e con il quale inviato in zona di guerra dove giunge, a Devoli, il 17 gennaio 1941. Assegnato al battaglione “Gemona” quale comandante di plotone alla 69ª compagnia comandata dal Capitano Giuliano Dell’Antonio, raggiunge la prima linea dei combattimenti nella zona Mali Taronine. Il “Gemona” viene quindi dislocato a difesa di Monte Golico e la 69ª compagnia sistemata nel canalone che da Dragoti sale alla cima. Qui il 18 marzo la compagnia si immola affrontando un durissimo combattimento a quota 1143 per fermare l’assalto dei greci. Cadono la metà degli alpini e buona parte sono fatti prigionieri compreso il Capitano comandante ferito da bombe a mano. In questo combattimento si mette in luce il Tenente Franco Cavazza, che sostituendo volontariamente il proprio Capitano ferito, guida i superstiti nel combattimento come recita la motivazione della croce di guerra al valor militare conferitagli:

Al comando di una compagnia alpina, con tenacia e sprezzo del pericolo, guidava il reparto a ripetuti attacchi contro munita posizione, dando prova ed esempio di sereno ardimento. Monte Golico (fronte greco) 18 marzo 1941.”

 

Il giorno dopo affronta un nuovo combattimento al comando di un plotone di rincalzo. Purtroppo nella fase di avanzata viene centrato da una bomba di mortaio che ne stronca la giovane vita. Raccolto al termine dei combattimenti, il 20 marzo è sepolto nel cimitero da campo di Monastir Kodra 2 tomba n° 10.
Con la realizzazione del Sacrario Militare Caduti d’Oltremare di Bari la salma viene riesumata per il trasferimento. Purtroppo durante le operazioni vengono persi i riferimenti di identificazione della sua urna e le spoglie sono quindi tumulate in un’unica tomba assieme a quelle di altri alpini “non identificati”.

IL RIFUGIO

Il rifugio Cavazza oggi.

Una foto davvero emblematica. Franco Cavazza in occasione
di una escursione, ritratto davanti al rifugio “Pisciadù”….
.

Ubicato nel Gruppo del Sella in Val Gardena a quota 2583 metri, la prima realizzazione risale al 1901 per iniziativa della Sezione del Club Alpino Tedesco Austriaco di Bamberga ed il piccolo manufatto venne inaugurato nell’agosto del 1903. La denominazione originaria era La Pisciadùhütte (Il Pisciadù) dal nome dell’omonimo vicino Lago Pisciadù. Nel corso della Grande Guerra 1915-‘18, come per tanti altri rifugi di montagna, fu gravemente danneggiato e per alcuni anni subì un completo abbandono. Nel 1920 su insistente richiesta della sede nazionale del Club Alpino Italiano, il Commissario civile di Trento dopo appropriato sopraluogo, stabilì che il rifugio non avendo più importanza militare, poteva essere ripristinato per il suo uso originario. Nel 1924 la Società Alpinisti Trentini (S.A.T.) lo restaurò a sue spese rendendo abitabile il piccolo ricovero che gli venne ceduto in uso trentennale dall’Amministrazione militare solo dal 1932. Da quell’anno e fino al 1940 non si hanno notizie particolari se non che proprio pochi mesi prima dell’entrata in guerra dell’Italia, la Società Alpinisti Trentini aveva incaricato l’Ing. Arturo Tanesini di Ortisei di progettare la trasformazione della piccola e malandata capanna in un bel rifugio. Mancarono però i mezzi finanziari per la realizzazione del progetto e fu così che un insieme di circostanze fortuite portarono nel 1942 il trasferimento dell’affido dalla S.A.T. alla Sezione del Club Alpino Italiano di Bologna. Come sappiamo ora, il 19 marzo 1941 a Monte Golico in Albania cadeva il Tenente degli alpini Conte Dott. Franco Cavazza attivo socio della Sezione Bolognese del C.A.I.

I primi lavori di ristrutturazione e ampliamento del rifugio
eseguiti dalla Sezione C.A.I. di Bologna.

All’indomani del triste lutto, la nobile e facoltosa famiglia bolognese progettò di onorarne la memoria dedicandogli un rifugio di montagna. Fortuite circostante portarono alla conoscenza che l’Ing. Tanesini, che aveva buoni rapporti con il mondo bolognese, aveva l’incarico di ristrutturare il rifugio Pisciadù ed era in cerca di fondi. La famiglia Cavazza offrì la propria disponibilità a sovvenzionare in buona parte i lavori e con la generosa offerta furono programmati i lavori per l’estate 1942. Per il peggioramento della situazione italiana a causa della guerra, il lavori per quell’anno si fermarono ad una prima fase con le opere di muratura, coperto ed infissi. Rimanevano quindi da completare le finiture e l’arredo.

 

Nel frattempo la Sezione bolognese del C.A.I., venuta a conoscenza delle trattative fra la famiglia Cavazza e la S.A.T. e delle difficoltà economiche di quest’ultima, con unanime consenso dei soci chiese alla Presidenza Generale del C.A.I. la cessione del rifugio dalla S.A.T. al C.A.I. di Bologna che si sarebbe assunto l’onere di portare a compimento i lavori. La Presidenza Generale del C.A.I., nella persona del bolognese Avv. Angelo Manaresi (che ricopriva pari incarico anche nell’Associazione Nazionale Alpini) comunica l’assenso con lettera datata 5 dicembre 1942.

La cerimonia commemorativa e di intitolazione del
rifugio svoltasi l’8 settembre 1946.


Il presidente del C.A.I. di Bologna Mario Bozzi nel comunicare al Conte Filippo Cavazza che la Sezione di Bologna era entrata ufficialmente in possesso del rifugio al Lago Pisciadù concludeva la lettera: “il rifugio sarà intitolato al nome del suo eroico Figlio Franco e compatibilmente con le nostre possibilità finanziarie accelereremo i lavori si da portarli a termine nel più breve tempo possibile tenendo soprattutto presente che il tutto dovrà essere degno del nome di Franco Cavazza”.

 

La promessa poteva essere mantenuta solo al termine della guerra ed il 26 agosto 1946 avveniva la cerimonia di posa della lapide e l’intitolazione, ed il successivo 8 settembre un folto gruppo di soci bolognesi partecipava alla celebrazione ufficiale. Negli anni successivi sono continuati i lavori di miglioramento che hanno visto negli anni ’80 una completa ristrutturazione con ampliamento e modernizzazione delle strutture di ricezione, che ne fanno oggi del Rifugio Franco Cavazza un punto d’orgoglio della Sezione di Bologna del Club Alpino Italiano che ha anche realizzato nel 2001 la pubblicazione del libro 100 anni del Rifugio Cavazza 1901-2001.

 

 


(1) La famiglia dei Conti Cavazza è oggi conosciuta a Bologna in particolare anche per la benemerita fondazione “Istituto per Ciechi Cavazza” fondato nel 1881 da Francesco Cavazza, nonno del Tenente degli alpini Francesco qui ricordato.
Il nonno Francesco inoltre, con l’aiuto della moglie Lina Bianconcini, aveva creato a sue spese e per tutto il periodo della 1ª guerra mondiale 1915-‘18, un benemerito Ufficio Notizie alle famiglie dei militari, dove operavano oltre 350 volontari, divenuto in breve anche punto di riferimento del Ministero della Guerra per l’immane lavoro che alla fine risultò con uno schedario di circa 12 milioni di voci..
La famiglia, dall’originaria  matrice mercantile era approdata alla banca (Banco Cavazza), alla proprietà terriera e alla imprenditoria agricola. Di estrazione liberale e non accettando i principi del regime fascista, questi ne determinò l’emarginazione e la decadenza economica.
Il babbo Filippo, ricco proprietario terriero, docente universitario, presidente dell’Associazione Agraria Bolognese, non aderì mai al partito fascista rifiutando in più occasioni “l’imposizione” della tessera. Anche per questo, il figlio Franco si iscrisse all’Università di Firenze.
Note: devo all’amico Mario Gallotta del Gruppo di Ferrara il merito della “riscoperta” ringraziandolo anche per avermi fornito lo Stato di Servizio (gentilmente concesso dallo Stato Maggiore Esercito), dal quale è stato possibile ricostruire con esattezza il curricolo militare.
Ringrazio in particolare l’ing. Novello Cavazza, (ufficiale di artiglieria alpina decorato al v.m. sul fronte balcanico) cugino di Franco, per le preziose notizie fornitemi.