rassegna stampa da L’ALPINO

periodico dell’Associazione Nazionale Alpini

Alpini di Romagna : Carlo Mazzoli

pubblicato il 15 gennaio 2007
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO



il titolo dell'articolo pubblicato a pagina 3 del giornale L'ALPINO n° 15 del 15 agosto 1928

E' morto in Africa, stroncato dal tifo: in quella stessa Cirenaica che lo aveva visto nell'11 e nel 12 iniziare con baldanza la sua vita militare guerresca.
Lo conobbi ai primi di gennaio 1917 quando venne a prendere il comando della Difesa di Val Zebrù (Alta Valtellina) chiamatovi dal Colonnello Barco. Me l'avevano preannunziato come un uomo stravagante, come un ufficiale alpino alla brigantesca, un coraggioso alla disperata: con Lui rimasi per due anni consecutivi stretto da vincoli di dipendenza e di amicizia e posso dire di aver trovato un raro alpino di Romagna, un'anima ardente d'entusiasmo alla garibaldina, un'intelligenza rapida anche se non metodica, un'esperienza fondata su anni di fatiche e di sforzi personali, una cultura ad angoli con tratti caratteristici di sfavillio.
Fu un coraggioso, non un'audace incosciente, pagò sempre di persona sapendo di farlo. Credo essere stato il capitano per molti aspertti di carattere, non di idee, diametralmente opposto che più lo abbia avvicinato e pure la viva simpatia che egli, quantunque superiore in grado volle testimoniarmi mi ha lasciato l'animo grato e riconoscente.
Alto, quasi allampato, ostentava con fierezza quella testa alla nazzarena che fu un po' la sua piccola vanità personale per l'impronta particolarissima che la sua figura ne riceveva. Vedendolo ricordava alcune vecchie stampe popolari rappresentanti Garibaldi nei primi fatti d'arme della sua epopea a Montevideo.
Nato a Cesena all'ombra del castello degli Ordelaffi e dei Malatesta, cresciuto nella terra calda eppenninica, egli con orgoglio ricordava di essere nipote di Felice Orsini. Amava parlare del patriota così come ricordava senza rimpianto la stranezza dei suoi inizi, quando appartenne per poco tempo ai Granatieri e alla Guardia Nobile di Sua Santità. Dopo la sua Romagna, amava noi milanesi e si proclamava il paladino del V Alpini, suo primo reggimento, nel quale vedeva impressa l'anima lombarda, entusiasta generosa e positiva.


Il maggiore Carlo Mazzoli a
Capanna Milano (Val Zebrù)
m. 2877, nel 1917.
Andato il Libia col V, vi si era distinto subito per l'attività ed il coraggio specialmente nel raid Cantore: quel Tenente indiavoltato dalle gambe lunghe dava dei punti agli arabi in fatto di mobilità. Dopo gli anni di guerra in Libia fu in Albania per due anni dove colla Commissione Internazionale partecipò alla organizzazione del paese.
Richiamato in patria è promosso Capitano allo scoppio della grande guerra e passato all'VIII Alpini. Colla sua compagnia e coi suoi prodi friulani presidia la Val Dogne (Alto Fella) in Carnia. E' senza aiuti, quasi senza mezzi. E quì, il comandante diventa grande: non si perde in recriminazioni, cogli scarsi uomini instanza una difesa mobile: assalta e prende il Mittagskofel mandando in basso prigionieri; moltiplica le pattuglie per farsi credere numeroso corpo di soldati, esalta i suoi uomini proclamando che uno di essi ne vale due o tre degli avversari, manda squadre di notte nelle retrovie, giù a Stazione di Dogna a razziare qualche tavola al Genio di cui da mesi non vede il più piccolo cenno. Si conquista col moschetto in pugno le prime medaglie. Riandando i ricordi delle sue gesta carniche il suo occhio s'animava diuna luce di orgoglio di bene aver fatto: stangate aveva dato al nemico e sempre con forze minime, con mezi di miseria.
Caratteristico era il branco di cani che sempre lo attorniava e che conduceva all'attacco. E' promosso per meriti di guerra maggiore e passa in fanteria.
A lui, alpino fino alle ossa ed alpino del V Alpini, l'ora è amara, ma si riprende e trova nuove glorie. Giunge a Gorizia in tempo per partecipare all'attacco delle famose quote di Selz. E' alle dipendenze del Generale Badoglio, che lo ebbe sempre carissimo. Ne conquista una e la tiene, alpino tra i fanti con prodezza inarrivabile: il comando reggimentale gli muta le compagnie, decimate e stanche del presidio alla Quota, ma lui rimane sempre fisso al comando d'avanguardia: non altrimenti gli antichi guerrieri vedevan morire due o tre cavalli sotto di sè in battaglia ma rimanevano imperterriti nell'azione.
Il Generale Badoglio lo ricompensa con altra medaglia al valore, e lo abbraccia: la fama e la notorietà di questo Maggiore degli alpini originale ed audace si spande tutt'attorno e crea la leggenda.
Un bomba, sul finire del 1916 lo abbatte di schianto, fracassandolo per metà: è raccolto colle coperte e portato via tra la disperazione delle truppe che gli sono ormai entusiasticamente devote. Sembra morto ma invece la forte tempra reagisce. Dopo tre mesi d'ospedale il corpaccio è rinsaldato. Balsamo alle ferite gli è l'annuncio che gli è concesso di ritornare negli alpini e gli è affidatoil comando del Battaglione Val D'Ordo (IV Alpini) uno dei veterani gloriosi del Monte Nero-Merzli.
Arriva gioioso a Bormio ai primi del 1917 dove lo accoglie il Colonnello Brigadiere Barco suo antico superiore ed amico: è assegnato alla difesa di Val Zebrù a Capanna Milano (m. 2877).
Erano allora proprio finite tutte le alte occupazioni e l'imbastitura di quella difesa a piccole guardie che era costata e costava sacrifici di valore e di fatiche e di perdite. Per una serie di circostanze anche psicologiche, il vecchio Battaglione piemontese che aveva guadagnata la medaglia d'argento sul campo dell'onore, si sentiva un po' stanco, di morale non altissimo: esso era giunto in zona sei mesi prima in aiuto ai reparti del V Alpini sciatori e volontari che per i primi vi avevano lavorato.
Carlo Mazzoli lo afferra con l'animo saldo, arringa i soldati, proclama alto la santità interventista della guerra, fucilerebbe volentieri la gatta morta del parecchio giolittiano; addita nel nemico che accampa in armi sulle creste vicine l'invasore delle nostre piane, il predatore dei nostri focolari. Egli introduce la gaiezza così necessaria nelle alte altitudini, distribuisce premi ai valorosi, dà un calcio agli inetti: ovunque l'impronta personale dell'opera sua signoreggia. Amante della montagna, egli non aveva mai fatto l'alpinista nel senso tecnico della parola, pure comprendendo la necessità del luogo, di addestra immediatamente ed ha cari gli scalatori arditi di Val Zebrù, squadrone di guide insuperabili di arditezza e di metodo, agli ordini del sergente Tuana di Bormio.
Organizzammo, in quei primi mesi del 1917 tutta quella rete di gallerie di ghiaccio che costituì una garanzia di sicurezza e di forza. Il Maggiore Carlo Mazzoli il romagnolo, da quei giorni amò la grande alta montagna, intensamente come forse poco si usa nella terra natìa. Occupammo nel maggio del 1917 quella quota di m. 3800 sulla Königspitze a pochi metri dal nemico che rimase la più alta occupazione dell'esercito italiano e ceto una delle più difficili a raggiungersi ordinariamente.
Alla fine dell'agosto 1917 avvenne il famoso assalto austriaco al nostro posto del Trafoier Eissawand (m. 3555), sorpreso il posto osservatorio dopo quattro mesi di lavoro con una galleria di ghiaccio che noi ignoravamo, il nemico trionfò e tripudiò occupando la vetta. Fu l'ora, quella dell'amarezza per tutti noi ed in particolare per il Maggiore Mazzoli che rappresentava la baldanza della difesa, il classico assertore del "di quì non si passa", sempre s'intende per passare noi al di là. All'oscuro del metodo insidioso e nuovo usato dal nemico rimanemmo sotto l'angoscia di una inspiegabile debolezza di un posto magnificamente organizzato.

Il maggiore Carlo Mazzoli a
Capanna Milano (Val Zebrù)
m. 2877, nel 1917.


Vidi quell'uomo che sempre aveva pagato di persona torcersi le mani dalla rabbia al pensiero dello scorno patito quantunque non si capacitasse dell'avvenuto e non precipitasse i giudizi come altri facevano. Poi deciso il contrattacco, fu magnifico comandante nei cinque giorni di preparazione per la ripresa. Rapido nell'architettare, nel consultarsi, nel concretare, a lui spetta il merito del successo ottenuto nel contrattacco, con intelligenza e ponderazione. Furono momenti di ansia e di decisioni. Ceduto interinalmente il comando ordinario generale ad un subalterno, si porta sotto la parete infernale della vetta; anima tutti, stabilisce l'attacco da quattro parti con sicura intuizione di guerra d'alta montagna. I soldati che di notte con corvèes fantastiche portano al buio i materiali, le munizioni, i viveri su per la cresta famosa che unisce la Trafoier alla Thurwieser (m. 3672) nei posti creati in furia per contere il nemico, sono eletrizzati dall'entusiasmo ch'egli diffonde. Al Capitano Bellani della 240^ compagnia affida l'onore dell'attacco frontale, al Sergente Tuana ed al plotone ardito l'attacco delicatissimo chiave dell'impresa, dalla cresta di Backmann. E l'azione riesce tra la gioia di tutti. Si scopre la galleria nemica lunga 500 metri e l'onore è salvo anche per i soverchiati di cinque giorni prima. Ad alcuni sono distribuite medaglie e premi... Al Maggiore Mazzoli niente. Se ne dolse una volta sola con me poi non ne parlò più. L'azione della Trafoier rimase, anche nel campo nemico una delle imprese più rinomate di alta montagna e l'ammirazione del nemico è documentata in un volume pubblicato dua anni fa a Stuttgart.
Ebbe una passione per i grossi cani di cui curava amorevolmente l'allevamento anche a così grande altezza, introdusse sugli alti ghiacciai il traino degli asinelli con esito ottimo.
Alla fine della guerra passò alla Commissione Confini italo-austriaca, poi al II° Alpini. L'Africa, la libertà di orizzonti, l'irrequitezza del vivere lo attirarono irrimediabilmente. Ritornato in patria, dopo un lungo periodo, ottenne di essere di nuovo la. Vi andò questa volta colla gentile sua Signora. Un male repentino lo assalì e morì in pace a Bengasi.
Ebbe truppe che lo amarono con entusiasmo, ebbe amici ed ebbe nemici di cui urtò suscettibilità e provocò reazioni che lo rammaricarono. Poeta nell'intimo, non per nulla si appellava al suo avo rivoluzionario eroe e patriota, tragico lanciatore della macchina infernale di Parigi.
Per noi Alpini, Carlo Mazzoli rappresenta una figura simpatica, viva e saliente per la sua originalità vivacissima che è fuori del carattere montanaro e severo dell'arma nostra: anche per ciò rimarrà più duratura nella nostra rimembranza. Fu da giovane fervente nazionalista: conosceva Oriani e nel maestro della sua terra cercava il meglio ed esaltava giustamente l'ideale. Fu soprattutto un gagliardo al quale il pagar di persona era la gioia più bella ed il mezzo più rapido per ottenere superbi risultati nel comando là dove altri avrebbe mancato.
La vita libera in Colonia ed in Albania lo avevano affinato ad una originalità indipendente che fu splendida leva di successo in parecchie occasioni della grande guerra e fu cappa spinosa per lui nel post guerra nella limitata angustia della vita di caserma.
Noi che lo conoscemmo nel fulgore della vita non dimenticheremo.
Dott. Guido Bertarelli


Pubblicato (comprese le foto-di scarsa qualità) sul giornale associativo dell’A.N.A. L’ALPINO n° 15 - 15 agosto 1928.

Per ulteriori notizie sulla figura di Carlo Mazzoli, già ricordato nel sito, apri biografia.