storia del territorio bolognese romagnolo

Le stellette, il camice bianco e la penna nera: medici ferraresi nella guerra 1915-'18 o 1940-'45
di Mario Gallotta

pubblicato 1° aprile 2016

All’alba del 16 gennaio 1943, durante la tragica ritirata di Russia, un giovane Sottotenente medico del Battaglione “Gemona” (8° Reggimento Alpini – Divisione “Julia”) vide il proprio comandante di compagnia gravemente ferito in una striscia di terreno scoperto, intensamente battuta dal fuoco avversario. Non ebbe esitazioni e, incurante del pericolo (come dice la motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare che gli fu concessa nel 1953, abbandonò le linee amiche, caricò sulle spalle il suo capitano e riuscì miracolosamente a portarlo in salvo.
Quel giovane ufficiale medico si chiamava Geo Mario Fantini ed era nato a Pontelagoscuro, frazione del Comune di Ferrara, nel 1912.
Il suo gesto eroico simboleggia egregiamente lo spirito con il quale tanti suoi colleghi, nati o residenti nella provincia di Ferrara, seppero affrontare le vicende belliche, onorando nel contempo la propria coscienza, l’uniforme indossata e il giuramento di Ippocrate.
Fra tali colleghi, che prestarono servizio nella prima e nella seconda guerra mondiale, non potevano certo mancare altri alpini.

Nel primo conflitto mondiale morì in un ospedale da campo (1917) Ezio Savonuzzi di Vigarano Mainarda, Tenente del 2° Reggimento Alpini (1) mentre riuscì a tornare a casa Carlo Pampanini di Poggio Renatico, Tenente medico del 2° Reggimento Artiglieria da Montagna, che guadagnò sul Monte Vodice (1917) la medaglia di bronzo.

Nella seconda guerra mondiale prestò servizio in Grecia, quale ufficiale medico della “Julia” Sante Gaiatto, a lungo docente di Farmacologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Ferrara, mentre in Russia operarono Geo Mario Fantini, Antonio Maini, il Prof. Raffaele Pansini, il Prof. Giancarlo Parenti e il Prof. Germano Mancini.


Antonio Maini

Maini era uno studente della Facoltà di Medicina del nostro ateneo, nato a Costa di Rovigo e residente a Ferrara. Giunto alla Scuola Centrale Militare di Alpinismo, ad Aosta, fu assegnato alla 1ª compagnia del 1° Battaglione Universitario. Frequentò poi il 26° corso A.U.C. a Bassano del Grappa. Sottotenente al 5° Alpini (Btg. “Morbegno”), cadde a Nikolajewka il 26 gennaio 1943. Il nome del Sottotenente Antonio Maini è inciso nel monumento ai Caduti di Francolino, recentemente restaurato. Principale promotore del restauro è stato il Prof. Mario Morsiani (iscritto, quale “amico degli alpini” al Gruppo di Ferrara) illustre diabetologo, per lunghi anni presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in Guerra (2).


Raffaele Pansini

Assieme a Maini frequentò i corsi della Scuola di Aosta anche lo studente universitario Raffaele Pansini (nato a Bologna, ma ferrarese di adozione), che in seguito avrebbe percorso una prestigiosa carriera accademica, come docente di Clinica Medica, culminata con l’elezione a Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Assegnato come Sottotenente degli alpini al Battaglione “Vestone” dopo un durissimo corso ad Aosta, Pansini, che partecipò sul fronte russo alla cruenta battaglia di Kotowskj (settembre 1942), ha scritto un toccante libro (“Martino e le stelle”, Bologna, 2002) dedicato alle vicende belliche che visse in prima persona.

Il Capitano Medico Giancarlo Parenti, nato a Montecatini Valdinievole (Pistoia) nel 1904, partecipò alla campagna di Russia quale Capitano comandante di una formazione chirurgica mobile – dipendente dal comando del Corpo d’Armata Alpino – che raggiungeva in continuazione i luoghi più esposti al fuoco nemico. Proprio per tal motivo, il Capitano Parenti venne fatto prigioniero e fu decorato con medaglia di bronzo al V.M. Oltre a curare i feriti italiani, non esitò a prodigarsi in favore della popolazione russa, al punto di raggiungere una fama quasi leggendaria (3). Trasferitosi a Ferrara nel dopoguerra, il Prof. Giancarlo Parenti fu docente di Patologia Speciale Chirurgica e diresse per circa trent’anni la Divisione di Chirurgia dell’Arcispedale “S. Anna”.


Germano Mancini

Un itinerario molto simile fu percorso dal cremonese Germano Mancini, che venne assegnato – come Parenti – a una formazione chirurgica mobile, venne catturato dai sovietici e, nel dopoguerra, si trasferì a Ferrara ove insegnò nel nostro ateneo. Il Prof. Mancini fu tra i fondatori della S.I.C.M. (Società Italiana di Chirurgia della Mano), di cui fu anche presidente nel biennio 1965-1967.
Capitano medico e comandante del 629° ospedale da campo della Divisione "Julia", fu decorato di medaglia d’argento al V.M. con la seguente motivazione: “Durante successive giornate di combattimento, nonostante l’intensa azione aerea nemica, prestava instancabilmente la sua opera di provetto chirurgo. Avvenuto lo sfondamento del fronte, ripiegava con i suoi operati. Crollata ogni resistenza, malgrado avesse avuta l’autorizzazione a ritirarsi in zona più arretrata, pur di non abbandonare malati e feriti, rimaneva in posto, affrontando la sorte di lunga e angosciosa prigionia” – Fronte russo, dicembre 1942.


Carmine Rampini
Boncori


Indossò il cappello alpino anche il Dott. Carmine Rampini Boncori (Rimini, 1897 - Ferrara, 1964), che nel 1942 fu assegnato, quale ufficiale medico, al Battaglione “Gemona” e ci ha lasciato testimonianza di quel periodo in un articolo, raccolto con altri in un pregevole volumetto (4).


Guido Calzolari

E nei ranghi del 4° Reggimento Alpini prestò servizio il Dott. Guido Calzolari, futuro ginecologo e fratello di due penne nere: Francesco, Sottotenente al 7° Rgt. Alpini e Lorenzo, Sottotenente al 5° Rgt. Alpini e decorato di due medaglie di bronzo nella campagna di Grecia (novembre e dicembre 1940).
Con il 1945 si chiuse fortunatamente la serie di avvenimenti bellici, iniziata con il primo conflitto mondiale, che vide tanti medici ferraresi mettere a repentaglio la propria esistenza per compiere fino in fondo il proprio dovere, talora con il sacrificio supremo della vita.
Ricordarli non è solo un doveroso omaggio, ma un invito a imitare l’esempio di chi ha testimoniato, in pace e in guerra, la fedeltà a quei valori che rendono una società civile degna di questo nome: esempio che non è sterile retaggio del passato, ma vivida luce che illumina il nostro presente.

 


Note
(1) Ezio Savonuzzi (1880-1917), ancora studente, collaborò con il Prof. Eugenio Centanni, che viene ritenuto lo scopritore della “peste aviaria”.
Cfr. Virus scoperto un secolo fa all’Ateneo estense, la Nuova Ferrara, 14 febbraio 2006. Nell’articolo si può leggere quanto segue: “Il virus dell’influenza aviaria è stato scoperto proprio in Italia più di un secolo fa. Fu il professor Eugenio Centanni, titolare della cattedra di Patologia Generale dell’Università di Ferrara, a descrivere nel 1901 la natura dell’agente responsabile della peste aviaria, nome con cui allora era conosciuta questa malattia. Centanni presentò all’Accademia delle scienze mediche e naturali di Ferrara due comunicazioni, realizzate assieme allo studente ferrarese Ezio Savonuzzi, nelle quali esprimeva i risultati delle ricerche sulla causa della malattia. Centanni e Savonuzzi avevano identificato l’agente patogeno filtrabile, cioè il virus, responsabile di questa malattia che imperversava tra gli animali in tutta Europa”.

(2) Ad Antonio Maini è stata conferita, il 26 gennaio 2016, la laurea “honoris causa” in Medicina e Chirurgia dall’Università di Ferrara.
 
 (3) Cfr. La covata del 1907 e altri racconti, pubblicato in Ferrara nel 1997 a cura dell’Avv. Dante Rampini Boncori (figlio di Carmine).
Il volumetto, di natura autobiografica e di piacevole lettura (poiché Carmine Rampini Boncori era “una bella penna” in tutti i sensi), è dedicato principalmente a coloro che frequentarono con l’autore il Liceo Classico “Ludovico Ariosto” di Ferrara.

(4) “… sono a conoscenza di non pochi fatti in cui i medici militari e gli infermieri italiani prestarono soccorso agli abitanti di Rossosch. Ricordo che subito dopo l’occupazione nella nostra città passavano di bocca in bocca intere leggende sullo straordinario chirurgo dell’ospedale italiano numero 23 Giancarlo Parenti. Nella sua sala operatoria lavorava un’infermiera di Rossosch Anna Stepanovna Popova. Nel settembre e nell’ottobre del 1942 i feriti nell’ospedale erano pochi. Durante l’occupazione gli ospedali in città non funzionavano, per cui gli abitanti spesso si rivolgevano ai medici italiani. Parenti aiutava volentieri i malati. Anna Popova svolgeva il ruolo di intermediatrice tra i pazienti e il chirurgo militare. Si avvicinava l’inverno, i feriti aumentavano e dalla seconda metà di dicembre iniziò il loro arrivo in massa. Tra i feriti non c’erano solo italiani, ma anche tedeschi, belgi, perfino francesi. Un giorno un inserviente italiano si avvicinò ad Anna Popova e le sussurrò piano: “Hanno portato dei russi”. Nell’accettazione Anna vide tre carristi gravemente ustionati. Parenti li aiutò a sopravvivere. La Popova ricorda che, quando nella sala operatoria c’era poco lavoro, Parenti le diceva: “Vai a parlare con i tuoi”.
Alcuni giorni dopo la liberazione di Rossosch portarono all’ospedale italiano il sottotenente sovietico Nikolaj Poliècuk, gravemente ferito, ed il carrista Stepanov. Vennero entrambi operati da Parenti. Il sottotenente era stato ferito da una pallottola dum-dum. Sul petto aveva un piccolo buco, ma sulla schiena una ferita tale che nemmeno il palmo di una mano riusciva a coprire. Si dovette fare l’operazione seduti. Prima di prendere lo scalpello, il chirurgo versò un bicchiere di cognac e lo offrì a Poliscuk: “Vuoi bere?”. Quello rispose “Sì”. Portò il bicchiere alla bocca ed ebbe un accesso di tosse. Parenti gli prese il bicchiere e disse: “Bevo io alla tua”. Conoscevo bene Nikolaj Timofeevic Poliècuk e spesso lo sentii ricordare con belle parole il chirurgo italiano, il suo salvatore”.
Così riferisce lo scrittore e storico russo Alim Morozov nel libro Dalla lontana infanzia di guerra, edito nel 2003 a cura del Museo della Guerra di Rovereto (Trento).