Tra 
            i figli illustri della Romagna che hanno indossato il cappello alpino 
            ci fa particolarmente piacere citare il prof. Dino Pieri, che può 
            essere considerato l’erede spirituale di un’altra nota penna nera 
            romagnola: Aldo Spallicci, di cui proprio Dino Pieri (in collaborazione 
            con Maria Assunta Biondi) ha curato l’Opera Omnia.
          Membro 
            del Consiglio Direttivo della Società di Studi Romagnoli, vicedirettore 
            della rivista “La Piê” (fondata da Aldo Spallicci), da lungo tempo 
            Dino Pieri, nato a Cesena nel 1937, si occupa di ricerca storica, 
            di tradizioni popolari e di letteratura dialettale.
          Laureato 
            in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Bologna, ha 
            accompagnato l’attività di docenza con una fertile produzione letteraria, 
            meritando numerosi e qualificati riconoscimenti.
        
        
          Seppi 
            di essere stato assegnato alle truppe alpine nel febbraio 1962; non 
            ci fu sorpresa perché molti romagnoli venivano arruolati in questo 
            corpo militare. Provai una certa curiosità ed anche qualche apprensione 
            per la nuova esperienza che avrei dovuto affrontare.
          domanda 
            - Allorché giunse al reparto, quali furono le sue prime impressioni? 
            Fu assegnato a una batteria? Con quale incarico? Quali sentimenti 
            le ispirava la presenza dei muli?
          Quando 
            giunsi al reparto mi colpì l’ambiente meno tumultuoso, più ordinato 
            ed efficiente rispetto a quello del C.A.R. di Bassano da cui provenivo, 
            dove eravamo più di tremila. Mi fece una buona impressione anche la 
            migliore qualità del rancio e del servizio cucine (non più gavette 
            ma piatti). Non fui assegnato a una batteria ma al reparto comando 
            con l’incarico di scritturale in Maggiorità. La presenza di trecento 
            muli mi riportò ai tempi dell’infanzia quando cavalli, asini e muli 
            circolavano numerosi per le strade.
          domanda 
            - Da dove proveniva la maggior parte degli artiglieri di leva in forza 
            al Gruppo “Udine”? C’erano dei romagnoli? L’ambientazione fu difficile? 
            Quale fu l’impatto con la caserma?
          La 
            maggior parte degli artiglieri del Gruppo “Udine” proveniva dal Friuli, 
            dal Veneto, dall’Abruzzo e, sia pure in minor numero, dalla Romagna. 
            L’impatto con la caserma e l’ambientazione non furono difficili; conosciuti 
            quelli che sarebbero stati i miei doveri, iniziai un lavoro di ufficio 
            che cercavo di svolgere nel miglior modo possibile.
          domanda 
            - Com’era il rapporto con gli ufficiali e i sottufficiali? L’aspetto 
            gerarchico era molto marcato? I superiori, oltre all’autorità del 
            grado, dimostravano anche autorevolezza e godevano di stima da parte 
            della truppa?
          Il 
            rapporto con gli ufficiali e i sottufficiali era generalmente buono. 
            La gerarchia del grado si faceva sentire ma senza abusi o atteggiamenti 
            altezzosi. C’erano superiori apprezzati dalla truppa per le loro qualità 
            umane e per la professionalità che conferivano loro autorevolezza 
            e suscitavano rispetto e stima.
          domanda 
            - Come nacque l’idea di scrivere l’articolo sul “Corriere Militare”?
          Appassionato 
            lettore fin dagli anni dell’infanzia, ho sempre provato il desiderio 
            di scrivere; è stato quindi per me naturale inviare quell’articolo 
            al “Corriere Militare”.
          domanda 
            - Ritiene formativa l’esperienza da lei compiuta durante il servizio 
            militare? Le è stata utile nella vita personale e professionale? C’è 
            qualche insegnamento particolare che si è rivelato utile dopo la naja?
          Ritengo 
            complessivamente formativa l’esperienza militare; mi ha insegnato 
            la puntualità, l’ordine; ha contribuito a farmi apprezzare il valore 
            dell’amicizia e della solidarietà, tutte qualità importanti nella 
            vita ed anche a livello professionale. Ho imparato a contare su me 
            stesso, a non arrendermi davanti alle difficoltà, ad impegnarmi quotidianamente.
          domanda 
            - A parte la durezza del servizio militare nelle truppe alpine (e 
            nell’artiglieria da montagna in particolare) ricorda anche qualche 
            particolare negativo? C’era il “nonnismo”? C’era rivalità fra artiglieri 
            (panzelonghe) ed alpini (cunici)?
          Lavorando 
            in Maggiorità non ho affrontato esperienze dure. Qualche particolare 
            negativo c’era ma questo accade in tutti gli ambienti e quindi non 
            è tanto imputabile al servizio militare quanto alle persone in genere. 
            Il “nonnismo” che incontrai appena giunto al reggimento consistette 
            in qualche servizio ai “nonni”, come quello di rassettare le loro 
            brande. In un certo senso lo potrei paragonare alla situazione delle 
            matricole universitarie. La rivalità fra artiglieri e alpini (nostri 
            vicini di caserma) non andava al di là di qualche battuta; per il 
            resto c’era molta fraternità.
          domanda 
            - “E poi venne su lenta, grave e bella, nella sua apparenza faticosa 
            e rude, con i suoi grandi soldati, con i suoi muli potenti, l’artiglieria 
            da montagna…”. Che cosa le suggeriscono, oggi, queste parole di Edmondo 
            De Amicis?
          Le 
            parole di De Amicis suscitano in me una folla di sentimenti: mi fanno 
            innanzitutto pensare ai grandi sacrifici sopportati da uomini e muli 
            durante la prima guerra mondiale; mi riportano a quei 18 mesi trascorsi 
            fra tanti commilitoni, talvolta rudi e semplici, ma ricchi di qualità 
            umane, con quei 300 muli che si vedevano sfilare pazienti sotto il 
            carico. Certo oggi la tecnologia ha fatto scomparire i muli e le parole 
            di De Amicis lette da un giovane potrebbero apparire perfino retoriche. 
            Non dobbiamo però giudicare il passato con la mentalità del nostro 
            tempo ma calarci in esso per cercare di comprenderlo nei suoi aspetti 
            positivi o negativi. Quando lo scrittore piemontese scriveva quelle 
            parole, l’unità d’Italia era stata raggiunta da poco e l’esercito 
            coi suoi soldati di ogni regione rappresentava il collante della Nazione. 
            Possiamo così capire il tono solenne, l’ammirazione di De Amicis per 
            quel corpo militare  destinato a difendere i nostri confini sulle 
            montagne.
          domanda 
            - Molti romagnoli, anche famosi, hanno prestato servizio militare 
            nelle truppe alpine: ritiene che vi sia un legame particolare che 
            ha unito ed unisce la Romagna alla penna nera?
          Non 
            vedo un legame particolare che unisca la Romagna (priva di alte montagne) 
            alle penne nere; è certo però che chi ha militato negli alpini prova 
            un sentimento di fierezza che lo accompagna per tutta la vita. Le 
            associazioni degli alpini in congedo sono vive e operanti (soprattutto 
            in caso di calamità) non solo nelle città ma anche nei piccoli paesi 
            della Romagna.
          domanda 
            - Nel suo articolo, pubblicato sul “Corriere Militare”, lei scrisse: 
            “…qualcosa si era maturato in lui, trasformando il suo animo ancora 
            duttile in una robusta tempra di soldato, in una solida coscienza 
            di cittadino…”. E’ ancora convinto di quell’affermazione? La sottoscriverebbe 
            anche oggi?
          Sono 
            ancora convinto di quell’affermazione; oggi più che mai!