rassegna stampa da Canta..che ti passa

periodico della Sezione ANA Bolognese Romagnola

ricordi di naja alpina – la mia ritirata di Russia nel gennaio 1943
di Alberto Penzo *

Dal giorno 20 gennaio ho perso il contatto con la Cuneense: ero insieme al Quartier Generale fino al bivio di Postoyaly, una parte con il Capitano Rosso andò seguendo il canalone verso la medesima località, dov’era il Comando del Corpo d’Armata Alpino, io ed altri salimmo un’erta e arrivammo ad altro villaggio, combattutissimo, dove si trovava il Comando della Divisione Vicenza con il Gruppo del Ten. Colonnello Mulattieri (Btg. Pieve di Teco): Ssamoleinkow. Li lasciai a riposare nelle isbe e andai per ordini al Comando: morti russi da ogni parte, isbe che bruciavano. Trovai il Comando, un bicchiere di Chianti che era al nostro deposito di Annowka, ordini da parte di Pirelli per rintracciare il resto del Quartier Generale con appuntamento in luogo: girai per circa due ore, chiamando Cuneense; trovai soltanto ad un certo punto il Tenente Colturi con le salmerie del Ceva, Maggore Mattheis e Capitano Gianasso; <vieni con me, Penzo, tu sei capitano e sai cosa voglia dire un tale grado negli alpini!, quei due son dei servizi, ho bisogno di te>. – Caro Nicola, devo eseguire un ordine, vado in giro, anche se sono stanco morto e senza voce a furia di chiamare ed urlare - . <va bene, io dò la musetta ai muli, riposo un po’ e poi vado: alle due parto, se ci sei bene, altrimenti arrivederci!>. E così continuai il mio pellegrinaggio, inutilmente, sempre più avvilito e stanco perché non capivo le ragioni per la quale se ne erano andati (seppi poi da Scagliola che erano scappati tutti perché una voce aveva detto che stavano arrivando i russi!). Così ritornai e trovai Colturi: al Comando della Vicenza non vi era più nessuno.

Ho continuato con lui fino a Sheliakino. Durante la battaglia del 22 mattina, per aprirci un varco verso la piazza del Kalitwa, abbiamo sentito alle nostre spalle dei colpi di cannone, sembravano i “75” della nostra Divisione, forse era la sua agonia! Trovammo una batteria del Gruppo Vicenza, il mio vecchio 2° Montagna, e con Colturi decidemmo di non abbandonarla più, perché sapevo che era in testa: valeva la pena di correre tutti i rischi del combattimento di punta piuttosto che rimanere nella massa anonima e imponente degli sbandati.

A Nikitowta la notte del 25 lo sparuto nostro gruppo riesce a riposare un po’, in un paese bello ed accogliente: soltanto che per tutta la notte fu un allarme continuo; all’alba si parte al seguito dell’Edolo e del Gruppo Bergamo. Purtroppo all’uscita del paese siamo attaccati da partigiani e come Dio volle, in mezzo ad un vero caos di slitte e di carrette, riusciamo a passare prima su un ponte e poi lungo l’argine che costeggia una zona paludosa, con qualche ferito soltanto. Incontriamo cadaveri di russi su postazioni ben mimetizzate sulla neve, e anche di nostri. Si va fino ad uno sbarramento di carabinieri: c’è una confusione enorme creata dalla massa degli sbandati, che impedisce ai reparti di proseguire; cercano disperatamente il Val Chiese, e purtroppo si spara per non essere sopraffatti! Al primo sbarramento diciamo che siamo Val Chiese e ci lasciano passare, ma al secondo vorrebbero impedircelo perché ammettiamo di essere Ceva: c’è un po’ di discussione, dico che quei pochi fucili che sono in mano ai validi serviranno pure a qualche cosa, anche se dobbiamo difendere circa duecento feriti e congelati caricati sulle slitte; si arrendono, arriviamo al ciglione che sta proprio davanti alla ferrovia. Ci mettiamo dietro a un gruppo di N.W. tedesche, che sparano a meraviglia; arrivano i caccia russi a mitragliarci, qualche ferito leggero da scheggia fra noi distesi sulla neve, e poi avanti sotto un fuoco micidiale che ci costringe a distenderci, finché con una irruenza tremenda si fa tutta la discesa, si attraversa la ferrovia e si arriva in un grosso villaggio: è Nikolajewka!

Non sappiamo se sia la fine: troviamo un’isba, ne cacciamo i tedeschi perché volevano farci credere che erano lì ad aspettarci, trovo il sergente Schiepatti del battaglione Val Tanaro, e ora sciatore del Monte Cervino, tutto bianco nella sua tuta, e con lui avvinghiato dormo su un divano alla faccia di un povero capitano della Vicenza che voleva dormirci lui, perché arrivato prima! Naja!

Soltanto due giorni dopo, fra mitragliamenti di caccia russi e tiri di carri armati, si arriva ad un villaggio, dove i camini fumano: finalmente fumano! Troviamo due carri armati tedeschi fermi e con i cannoni rivolti verso di noi! (Rapjiewka).

Prima di attraversare l’Oskol a Sslomonka raggiungiamo parte del nostro Quartier Generale, al quale dico di non fermarsi perché i russi stanno inseguendoci con slitte e mitragliatrici; purtroppo si fermeranno a dormire poco più avanti e nella notte saranno tutti presi dai partigiani, eccetto un caporal maggiore e un alpino che ci raggiungeranno il giorno dopo, fortunatamente scappati alla trappola.

Dopo due giorni raggiungiamo la testa della colonna, dove si stanno raccogliendo i superstiti delle varie Divisioni.

Devo dire che quando mi trovavo al comando della Vicenza il giorno 20, venne il Generale Martinat su un carro armato tedesco, per vedere di mettersi in contatto con le altre Divisioni, essendo l’autobus-radio del Corpo d’Armata Alpino distrutto da bombardamento. Purtroppo non vi era nessun apparecchio, e allora disse al Sottotenente Pennisi di cercare di raggiungere la Divisione e comunicare di affrettare i tempi, in modo da essere a Valuiki il 25. Noi per la strada, essendo in testa, riuscimmo a seguire chi ricevette ordine di spostarci a nord e raggiungere invece Nikolajewka.

Cuneense e Julia erano di retroguardia e di fianco, e a Popowka, Postoyali, Opyt o altro villaggio che si trovavano subito dopo la ferrovia di Rossosch subirono l’assalto feroce e tremendo del forte gruppo di accerchiamento, che praticamente mise fuori combattimento la massima parte dei reparti di linea: bisogna ricordare che l’attacco a Rossosch venne dal sud, mentre a nord del Corpo d’Armata Alpino vie era ancora l’Armata Ungherese, anche se in azione di sganciamento. Chi ha percorso al seguito della Tridentina la vallata che da Podgornje portava ad Opyt, ha ancora negli occhi le vicende tremende e disastrose di quei combattimenti, che proseguirono poi nella notte, sempre al fianco sinistro, cioè verso sud. Quando i comandi delle due Divisioni raggiunsero Valuiki, erano praticamente disarmati e il loro annientamento probabilmente ha concorso ad alleggerire la stretta a chi era in testa. Io che ho raccolto i resti della mia Divisione all’uscita della sacca, a parte quelli che riuscirono a salire sul treno, ho un elenco che non raggiunge le duemila unità!


 

Alberto Penzo era nato il 30 aprile 1909 a Cona in provincia di Venezia. Trasferito per motivi di studio a Bologna, qui frequenta il liceo e l’università laureandosi in Chimica ed i Farmacia. Si trasferisce quindi a Milano dove è assunto nel Laboratorio Chimici delle Dogane. Nel 1930 è chiamato alle armi ed inviato alla Scuola Allievi Ufficiali a Bra. Nominato Sottotenente nel 1931 presta servizio di prima nomina presso il 2° reggimento artiglieria da montagna. Posto in congedo nel gennaio 1932 riprende la sua professione a Milano. Nel febbraio 1940 con il grado di Tenente viene richiamato in servizio e da giugno, inquadrato nel battaglione Val Tanaro del 1° reggimento alpini, partecipa alle operazioni sul fronte occidentale francese, quindi congedato. Nel giugno 1942 viene nuovamente richiamato e con il grado di Capitano assegnato al Comando della Divisione Alpina Cuneense con l’incarico di ufficiale addetto alla difesa NBC. Durante il drammatico ripiegamento riesce a portare in salvo la colonna della quale ha assunto volontariamente il comando. Per questo suo comportamento viene decorato con la medaglia di bronzo al valor militare. Congedato definitivamente nel giugno 1943 rientra a Milano. Nel 1950, per ragioni professionali, si trasferisce a Crespellano, paese a pochi chilometri da Bologna ed entra quasi subito in contatto con la Sezione alpini Bolognese Romagnola. Nel 1959 viene eletto nel Consiglio Direttivo Sezionale riconfermato anche nelle successive elezioni. Nel maggio 1970, con l’elezione del Presidente di Sezione in carica Vittorio Trentini nel Direttivo Nazionale con conseguenti dimissioni, Alberto Penzo viene eletto nuovo Presidente di Sezione. Pochi mesi dopo, come risulta dai verbali, deve suo malgrado rassegnare le dimissioni per ragioni professionali. Pur non ricandidandosi più a livello direttivo, continua a partecipare attivamente per molti anni ancora alla vita associativa. Muore a Crespellano dove risiede, il 18 luglio 1994.


Pubblicato sul giornale della Sezione ANA Bolognese Romagnola “Canta..che ti Passa” n° 1 gennaio 1968.