alpini del territorio bolognese romagnolo

Francesco Ventura, volontario alpino a quindici anni

di Giuseppe Martelli

pubblicato il 1° dicembre 2010

Nel tardo pomeriggio del 21 aprile 1945 entrava a Bologna dopo aver partecipato ai combattimenti nella Valle Idice contro i tedeschi, il conducente muli Francesco Ventura in forza alla 108ª compagnia del battaglione alpini “L’Aquila” del Reggimento Fanteria Speciale “Legnano” del Gruppo di Combattimento “Legnano”.

Era poco più che un ragazzo di quindici anni che ritornava nella sua città!

A 60 anni di distanza, fiero del suo trascorso, così mi racconta e ricorda quel particolare periodo.

Sono nato a Marzabotto, nell’Appennino bolognese, il 19 novembre 1930 da famiglia contadina, ultimo di quattordici fratelli figli di Attilio e Fulvia Paganelli. Nel 1932 per esigenze famigliari, a Marzabotto non c’era più lavoro, ci siamo trasferiti a Bologna dove il babbo lavorava come operaio agricolo. Qui ho frequentato le scuole elementari fino alla seconda poi subito a lavorare come garzone sempre nel mondo agricolo. Avevo dieci anni nel giugno 1940 quando ho appreso che l’Italia era in guerra. Per me non è cambiato nulla, lavoro e fatica ogni giorno come sempre. Di diverso vi era solo che alla sera ascoltavo i discorsi del babbo e della mamma preoccupati per due dei miei fratelli, uno in fanteria combattente in Africa e l’altro nei bersaglieri dislocato in Sardegna. In casa nostra non si è mai fatto politica o meglio le idee del babbo non erano certamente accondiscendenti con il regime, anzi…..

Agli inizi del 1943 ho cominciato a sentir parlare e a capire le parole resistenza, democrazia, libertà, in particolare da mio fratello Renato il più vicino di età. Con gli avvenimenti legati all’armistizio dell’8 settembre, Renato ha scelto subito la lotta armata con la formazione partigiana “Brigata Bianconcini”, ed io, pur essendo poco più che un ragazzo fra i tredici e i quattordici anni ho sentito mio dovere mettere in pratica il pensiero politico con il quale ero stato cresciuto, confidando la mia volontà al babbo. Come uomo con i suoi ideali non poteva certamente opporsi alla mia scelta, come padre mi raccomandò le solite cose; stai attento che non è un gioco. Entravo così nella clandestinità, aiutato o se vogliamo dire “raccomandato” da mio fratello Renato che mi convinse a non unirmi a lui nella stessa formazione, in modo da diminuire la possibilità di essere catturati o uccisi entrambi, presentandomi a Mario Musolesi comandante della formazione partigiana “Stella Rossa” che operava nel territorio di Vado, Monte Sole, Monzuno, nell’Appennino bolognese. Ovviamente per la mia giovane età non mi lasciavano partecipare ai combattimenti ma venivo utilizzato come staffetta, ribattezzandomi subito “il balilla”. Man mano che i mesi passavano le azioni contro i tedeschi si facevano sempre più cruente con morti e feriti da entrambi le parti. Dopo quasi un anno di vita in montagna fra staffette e azioni di guerra vere e proprie, nel settembre 1944 durante uno scontro con i tedeschi rimasi ferito ad una gamba. Caricato con gli altri feriti venni trasportato presso un ospedale da campo in località Pieve Santo Stefano in Toscana dove fui curato e dove rimasi per la convalescenza. In Toscana si stavano concentrando le forze alleate e reparti dell’esercito italiano inquadrati nel Corpo Italiano di Liberazione, ed io e mio fratello, che nel frattempo mi aveva raggiunto, si ragionava sul da farsi e come continuare la lotta intrapresa. Infine la decisione, o meglio, riuscii a convincere mio fratello; lasciamo entrambi la lotta partigiana clandestina e ci arruoliamo volontari nell’esercito italiano. Nei primi giorni di gennaio del 1945 dimesso dall’ospedale, sappiamo che a Scarperia è operativo un campo di smistamento alleato e la ci dirigiamo. Come italiani veniamo indirizzati presso il comando del Colonnello Galliano Scarpa comandante del Reggimento Fanteria Speciale “Legnano”. Dopo un primo momento di imbarazzo dovuto alla mia età, ero minorenne, ma di fronte alla mia risolutezza, accoglie la nostra richiesta di arruolamento volontario assegnandoci entrambi alla 108ª compagnia del Battaglione Alpini “L’Aquila”, mio fratello come autista ed io quale conducente muli delle salmerie. Qualche giorno dopo ero vestito in divisa militare con tanto di cappello, penna nera ed un bel mulo. Non ricordo quale fosse il suo “vero” nome di matricola, io lo chiamavo “la checca” in onore al mio soprannome “il checco” diminutivo di Francesco. Forse in quel momento non mi rendevo esattamente conto cosa significasse veramente essere “Alpino” ma ben presto ho capito. Mi hanno certamente aiutato i “veci” reduci della Grecia e della Russia con i loro “racconti” e con l’esempio della loro “alpinità” vissuta per l’onore delle “fiamme verdi” e della “penna nera”.



Le salmerie della 108ª compagnia in marcia dal Passo della Raticosa
verso il fronte emiliano. L’ultimo a destra, di spalle, Francesco Ventura.

Un momento di sosta della 108ª compagnia durante la marcia verso
la prima linea. Al centro sotto la finestra Francesco Ventura.

Il 10 di marzo del 1945 ci giunge l’ordine di avanzata per entrare in linea. Tutto il Reggimento, del quale fanno parte oltre al Btg. alpini “L’Aquila”, il Btg. alpini “Piemonte”, il Btg. Bersaglieri “Goito”, 2 compagnie mortai, 3 compagnie armi accompagnamento e 4 compagnie comando e servizi, è in marcia per la direttrice Scarperia, Passo della Raticosa, Monghidoro, La Martina, Cà del Vento, Parrocchia di Vignale, Montecorona. Il mio battaglione viene dislocato a Montecorona; siamo in linea! Poi di nuovo avanti per la Valle Idice oltrepassando Monterenzio fino alla delicata e strategica località Cà di Bazzone dominata dall’alto da una forte posizione nemica. Qui il 23 marzo durante una pattuglia per esaminare la possibilità di strappare quella quota al nemico, cade eroicamente il nostro comandante di Battaglione, Maggiore Augusto de Cobelli, che verrà decorato di medaglia d’oro al valor militare. Finalmente il 10 aprile un nuovo ordine; avanzare a tutti i costi, direttrice Bologna! Possiamo finalmente vendicare il nostro Magg. De Cobelli. Occorrono dieci giorni prima di arrivare a Bologna, dieci giorni di aspri combattimenti ma anche di decisa volontà. Sappiamo che il nostro fratello Btg. alpini “Piemonte”, al quale è stata assegnata un’altra direttrice, ha l’ordine di raggiungere Bologna nella mattina del 21 aprile, ed infatti alle ore 6 giunge a Porta Santo Stefano per sfilare poi nel centro della città. Il Btg. alpini “L’Aquila” ha invece l’ordine di retroguardia, infatti la nostra direttrice è la Via Emilia. Entriamo nella periferia di Bologna nella zona del quartiere San Donato alle ore 6 del pomeriggio. Le salmerie ed i muli vengono sistemati nelle scuole “Giulio Giordani” che sono a cento-centocinquanta metri da casa mia. La nostalgia di casa è forte, desideravo tanto poter abbracciare e tranquillizzare babbo e mamma che non sapevano che ero così vicino. Non è possibile! Devo consegnare il mio mulo in quanto giunge l’ordine di ripartire subito. E’ notte inoltrata quando tutto il battaglione compresi i 4 pezzi (i cari 75/13 dell’artiglieria alpina) è caricato sui camion, senza le cucine campali a seguito ma solo con i viveri da combattimento individuali, partiamo. Dopo due giorni si giunge a Ponte di Legno dove siamo destinati di presidio. La mia compagnia, la 108ª, viene poi dislocata al Passo del Tonale per rastrellare e disarmare i numerosi sbandati tedeschi presenti in Val Camonica. Ai primi di giugno cominciano ad arrivare i primi fonogrammi con l’ordine di smobilitazione dei “volontari”. Vengo chiamato a rapporto dal Col. Galliano Scarpa, comandante del Reggimento, che dopo brevi convenevoli mi pone due possibilità: o subito a casa in congedo per poi essere chiamato con la leva della classe 1928 per fare i 18 mesi previsti o continuare la naja ed in questo caso saranno conteggiati i mesi già svolti. Sinceramente ero in serio imbarazzo, la nostalgia di casa era molto forte e non sapevo decidermi, allora il Col. Scarpa che leggeva il tentennamento della scelta, paternamente mi disse; se tu fossi mio figlio ti consiglierei di toglierti il pensiero subito continuando la naja. Se ti confermi questa è una licenza senza data di rientro al reparto, vai a casa, saluta i tuoi, riposati poi ritorni presentandoti a Tarvisio. Era un atto di fiducia che non potevo non accettare. Sono passato in fureria dove ho ritirato la licenza e la “decade” più gli arretrati, era una bella somma. Dopo circa un mese di licenza dove ho cercato di vivere anche gli arretrati, la bella somma era praticamente finita anche perché, da figlio rispettoso, buona parte era stata messa a disposizione in casa. Sono “in bolletta”, decido di partire, ed ai primi di luglio mi sono presentato nella caserma di Tarvisio dove era in fase di rinascita il nuovo Btg. Alpini “L’Aquila”. Sono stato nuovamente assegnato alla mia vecchia compagnia, la 108ª, formata ora nella quasi totalità da giovani chiamati di leva, ed essendo il più “anziano” di servizio sono stato subito promosso caporale ed il mese successivo caporalmaggiore. Qui sono rimasto fino alla fine di settembre 1945 poi col reparto ci siamo trasferiti nella nuova sede a Conegliano. Col 1° gennaio 1946 sono stato promosso sergente con incarico di sottufficiale addetto alle salmerie della 108ª compagnia del Btg. Alpini “L’Aquila” dell’8° Reggimento Alpini e alla fine di luglio sono stato congedato con la nomina a sergente maggiore.

Avevo concluso il mio servizio alla Patria ed ero fiero della mia appartenenza ad un glorioso reparto alpino. Il 25 maggio 1950 sono stato chiamato alla visita di leva con la classe 1930 ed avendo presentato la documentazione rilasciatami dal comando del Btg. Alpini "L'Aquila" che attestava il mio "servizo militare come volontario" già svolto, sono stato lasciato in congedo provvisorio in attesa di verifica da parte dell'autorità militare. Il 4 febbraio 1952 sono stato ammesso al rinvio di eventuale chiamata alle armi in epoca da determinarsi. Finalmente il 25 maggio 1953 mi è arrivata la dispensa alla ferma di leva, ed iscritto nella forza in congedo del Distretto Militare.

Francesco Ventura, al centro con gli amici, ad una lontana
Adunata Nazionale Alpini ancora “in bianco e nero”.

Ritornato alla vita civile ho cercato e trovato quasi subito lavoro nel campo dell’edilizia dove sono rimasto fino alla pensione. Nella primavera del 1952 ad una festicciola da ballo ho conosciuto una bella ragazza di nome Alberta. Il 20 giugno 1954 mi sono sposato con Alberta e dal nostro matrimonio è nata un’unica figlia di nome Alessandra.

Il mio rapporto di iscritto dell’Associazione Nazionale Alpini è iniziato nel 1952 quando a Bologna si sono svolte le cerimonie per il trentennale di costituzione della Sezione bolognese romagnola (nata il 18 novembre 1922). Ho tirato fuori dall’armadio il mio cappello e mi sono avvicinato al corteo, non ne sono più uscito! Ricordo con commozione e gioia le tante Adunate Nazionali alle quali ho partecipato e sfilato con gli amici, i reduci dei Btg. “Piemonte” e “L’Aquila”, molto numerosi nei primi anni dietro il nostro striscione, poi sempre meno…..

 

 

 

Poi sempre meno…i reduci presenti. Qui siamo all’Adunata Nazionale Alpini
di Reggio Emilia del maggio 1997. Francesco Ventura è il terzo da destra.

Quasi contemporaneamente, sempre nei primi anni ’50, ho sentito anche il dovere di associarmi all’Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione Inquadrati nei Reparti Regolari delle Forze Armate, partecipando in tutti questi anni alle varie cerimonie rievocative. Purtroppo nella Sezione di Bologna dei Combattenti siamo rimasti in quattro reduci e nel corso di quest’anno 2005 siamo giunti alla triste decisione di sciogliere il sodalizio dopo le cerimonie che ricorderanno il 60° anniversario della fine della guerra di liberazione del 1945.

 

Quasi dimenticavo, nella primavera 2002 sono stato promosso Maresciallo Ordinario nel ruolo d’onore.