rassegna stampa da L’ALPINO

periodico dell’Associazione Nazionale Alpini

E' morto un alpino
di *Angelo Manaresi

pubblicato il 1° ottobre 2015
testo trascritto da Giuseppe Martelli
dalla propria collezione cartacea de L'ALPINO




il titolo dell'articolo pubblicato sul giornale
L'ALPINO n° 10 del 15 maggio 1931

Esangue, sul suo francescano letto di dolore, dopo essersi per lunghi mesi da soldato colla morte, si è spento dolcemente, quasi senza accorgersene, l'avv. Gaetano Berti di Bologna, primo capitanp degli alpini in congedo. ha cessato di battere, nella quiete della notte, un grande cuore. Berti, Nino, come noi lo chiamavamo, era un alpino di linea e di temperamento. Alto ed ossuto, il corpo un po' curvo, il passo dinoccolato dei montanari, semplice e rude nei modi, di poche parole ma pur sempre sereno di spirito, brontolone per abito, ma buono come il pane, era popolarissimo in tutto l'ambiente dei camminatori delle nostre montagne.

Di cospiqua famiglia bolognese, oriunda della Valle di Setta, Nino aveva, fin da giovanissimo, scavallato, dalla sua Torre di MOntorio, per tutte le cime del nostro Appennino; incontrataci a caso, portati dalla comune passione, in una delle tante escursioni domenicali, ragazzi ancora, non ci eravamo lasciati più. Come il padre, come tutti i suoi avi, chè, innato era in lui, quel senso giuridico che invano si insegna nella scuola se non si possiede nell'animo. Studiavamo spesso assieme o, per meglio dire, davamo assieme le ultime "pompate" per gli esami, in quella sua camera a terreno di via Solferino, un po' buia, sotto il portico, che a me dava tanta soggezione per i vecchi e incartapecoriti libri occhieggianti, fra la polvere, dalle pareti.
Avevamo diversissimo l'abito di studio, che egli, per concentrarsi, aveva bisogno di chiudersi ed io di andare all'aperto e di camminare; solo negli ultimi giorni, nella nuda camera di via Solferino, ci si curvava fino a tarda notte sulle tormentate dispense, fra continue libazioni di un potentissimo caffè per stare svegli; quando uscivo, ad ore piccole, nella vecchia strada porticata e mi avviavo, nel silenzio della notte, verso casa mia, mi ballavano nella testa in piazza sarabanda, dettami di codici recenti ed antichi, figure e nomi di giureconsulti di tutte le età.
Sucaino ardente e sempre un po' "Bastian contrario", patriota per tradizione di famiglia e per fede, interventista convinto a fatti, assai più che a parole, uomo dal coraggio sereno e semplice dei forti, Nino fu sempre con noi in ogni battaglia ed in ogni pericolo. Organizzatore e partecipe immancabile di accompagnamenti sucaini, egli fu con me, Monelli, Filippetti, Colliva, Loli ed altri anche sulla cima del Monte Bianco. Durante le ascensioni, borbottava continuamente: la corda era troppo lente e strisciava sulla neve, la piccozza era mal piantata, le soste, i "mosso" come li chiamavamo noi, erano troppo brevi, il passo troppo svelto: borbottava contro chi faceva cadere i sassi dall'alto, contro la minestra che scottava, contro il sacco mal fatto che rovinava la schiena: nessuno di noi gli rispondeva: era quella una musica nota, cara ed abituale; se Berti si fosse taciuto, noi ci saremmo subito allarmati per la sua salute; tutto poi finiva in nulla, chè egli era, in fondo, il più sereno di tutti noi. Ma aveva il cuore malato: egli lo sapeva: avrebbe dovuto riguardarsi: non ci pensava nemmeno.

Riformato alle armi, unico maschio della sua famiglia, allo scoppio della guerra partì volontario; territoriale di fanteria in seconda linea, tanto strepitò che ottenne di essere ufficiale degli alpini: il suo sogno era finalmente appagato: ed ecco Berti col "Saluzzo" al Rombon e al Kuckla, freddo in combattimento, instancabile fra i disagi, felice delle sue fiamme verdi e del suo cappellaccio alpino. I soldati, piemontesi tutti delle allte valli, lo adorarono subito chè parve ad essi uno di loro; Berti aveva infatti la sagoma, la taciturnità, il coraggio, tutta la quadrata forza dei figli dell'Alpe.Ma il combattere lassù, il vivere fra nevi e gelo o nell'ardore delle battaglie, il prodigarsi in ogni occasione, spezzarono alfine la sua fibra, incrinarono il suo grande cuore; dovette essere precipitosamente ricoverato in un ospedale, sgombrato nelle retrovie, dichiarato inabile a qualunque servizio, anche territoriale.
Lo rividi tornando in licenza: era disperato: dopo Caporetto, ritornato io ferito a Bologna, egli fu con Giordani, con Paolicci de' Calboli, con tanti altri e con me, per la provincia di Bologna ad invocare la resistenza ed a cazzottare i disfattisti; finita la guerra, fu di nuovo con noi nei giorni della rivoluzione, contro il bolscevismo. Schivo di cariche e di onori, poco portato alla vita politica, Berti non volle mai assumere posti di comando; ma il cuore aveva ardente di amore per la Patria e per il Fascismo. Nella quiete della sua casa rimesso alquanto in salute, egli si era dato al suo lavoro di avvocato e si era creata una famiglia: la sua donna, i suoi quattro bimbi, il suo studio, erano il quadro della sua vita semplice; le montagne, la sua perenne nostalgia.

La vita ci divise; fummo insieme sul Gran Sasso d'Italia; un'ascensione aspra, con un tempo infame; Bologna si fece onore; tutti i bolognesi arrivarono in cima e, fra essi, Berti. Scendendo, mi compiacevo con lui e, scherzosamente, lo prendevo in giro per la fantastica eleganza del suo costume: un paio di grossi calzoni da pastore, una magliettina sottile, la giacca alla cintura, un grosso sacco sulle spalle e su esso distesa, come fanno i contadini, una camicia di un giallo spaccato si crogiolava al sole; sagoma perfetta di rude montanaro. Doveva essere quella l'ultima sua gita; un mese dopo, allo Scaffaiolo, non lo vidi; ne chiesi notizie; Berti era e letto da parecchi giorni; un male lento e sottile, una febbre che non mollava lo avevano preso; diagnosi, sonsulti, alternative di ansie e di certezze; amici generosi gli donarono un po' del loro sangue; tutto fu inutile; quando la febbre ormai era vinta gli animi si aprirono alla speranza, a pochi mesi dalla morte del babbo suo, Nino Bertio moriva; il suo cuore si era spezzato nella lunga battaglia.

E' morto un alpini; quando un alpino muore, va subito, come vuole la leggenda, in paradiso e là lo attendono, serrati in rango, agli ordini del vecio Cantore, tutti i morti alpini della grande guerra. Berti va con loro, chè egli pure è un Caduto di guerra; il suo cuore si spezzò lassù, sul conteso Rombon; egli non volle nè onori nè pensione; è morto come sanno morire i soldati d'Italia.
Io lo vedo ancora, come l'ho visto l'ultima volta disteso sul suo letto francescano, il volto ossute e scarno incorniciato da una rada barba di asceta, gli occhi stanchi e sereni, verso la loce del piccolo giardino mi pare ancora di udire la sua voce pacata e lenta, parlare con accorata nostalgia di Alpi e di alpini mentre la mano scarna reggeva questo nostro giornale di battaglia e di fede che fino all'ultimo gli fu dolce sollievo nel dolore. Egli oggi non è più, ma è più nostro ancora; Nino Berti è in noi, dona luce al nostro cammino. ANGELO MANARESI

 

 

 

 



Pubblicato, compreso le fotografie, sul giornale associativo L’ALPINO n° 10 del 15 maggio 1931

Il Capitano Berti Gaetano, "Nino" per tutti, avvocato, era socio fondatore della Sezione nel 1922. Ulteriori notizie biografiche sul sito alla pagina : Berti Gaetano


 

*Angelo Manaresi, vedi biografia nel sto alla pagina: Angelo Manaresi