Sono 
                nato a Marzabotto, nell’Appennino bolognese, il 19 novembre 1930 
                da famiglia contadina, ultimo di quattordici fratelli figli di 
                Attilio e Fulvia Paganelli. Nel 1932 per esigenze famigliari, 
                a Marzabotto non c’era più lavoro, ci siamo trasferiti a Bologna 
                dove il babbo lavorava come operaio agricolo. Qui ho frequentato 
                le scuole elementari fino alla seconda poi subito a lavorare come 
                garzone sempre nel mondo agricolo. Avevo dieci anni nel giugno 
                1940 quando ho appreso che l’Italia era in guerra. Per me non 
                è cambiato nulla, lavoro e fatica ogni giorno come sempre. Di 
                diverso vi era solo che alla sera ascoltavo i discorsi del babbo 
                e della mamma preoccupati per due dei miei fratelli, uno in fanteria 
                combattente in Africa e l’altro nei bersaglieri dislocato in Sardegna. 
                In casa nostra non si è mai fatto politica o meglio le idee del 
                babbo non erano certamente accondiscendenti con il regime, anzi….. 
              Agli 
                inizi del 1943 ho cominciato a sentir parlare e a capire le parole 
                resistenza, democrazia, libertà, in particolare da mio fratello 
                Renato il più vicino di età. Con gli avvenimenti legati all’armistizio 
                dell’8 settembre, Renato ha scelto subito la lotta armata con 
                la formazione partigiana “Brigata Bianconcini”, ed io, pur essendo 
                poco più che un ragazzo fra i tredici e i quattordici anni ho 
                sentito mio dovere mettere in pratica il pensiero politico con 
                il quale ero stato cresciuto, confidando la mia volontà al babbo. 
                Come uomo con i suoi ideali non poteva certamente opporsi alla 
                mia scelta, come padre mi raccomandò le solite cose; stai attento 
                che non è un gioco. Entravo così nella clandestinità, aiutato 
                o se vogliamo dire “raccomandato” da mio fratello Renato che mi 
                convinse a non unirmi a lui nella stessa formazione, in modo da 
                diminuire la possibilità di essere catturati o uccisi entrambi, 
                presentandomi a Mario Musolesi comandante della formazione partigiana 
                “Stella Rossa” che operava nel territorio di Vado, Monte Sole, 
                Monzuno, nell’Appennino bolognese. Ovviamente per la mia giovane 
                età non mi lasciavano partecipare ai combattimenti ma venivo utilizzato 
                come staffetta, ribattezzandomi subito “il balilla”. Man mano 
                che i mesi passavano le azioni contro i tedeschi si facevano sempre 
                più cruente con morti e feriti da entrambi le parti. Dopo quasi 
                un anno di vita in montagna fra staffette e azioni di guerra vere 
                e proprie, nel settembre 1944 durante uno scontro con i tedeschi 
                rimasi ferito ad una gamba. Caricato con gli altri feriti venni 
                trasportato presso un ospedale da campo in località Pieve Santo 
                Stefano in Toscana dove fui curato e dove rimasi per la convalescenza. 
                In Toscana si stavano concentrando le forze alleate e reparti 
                dell’esercito italiano inquadrati nel Corpo Italiano di Liberazione, 
                ed io e mio fratello, che nel frattempo mi aveva raggiunto, si 
                ragionava sul da farsi e come continuare la lotta intrapresa. 
                Infine la decisione, o meglio, riuscii a convincere mio fratello; 
                lasciamo entrambi la lotta partigiana clandestina e ci arruoliamo 
                volontari nell’esercito italiano. Nei primi giorni di gennaio 
                del 1945 dimesso dall’ospedale, sappiamo che a Scarperia è operativo 
                un campo di smistamento alleato e la ci dirigiamo. Come italiani 
                veniamo indirizzati presso il comando del Colonnello Galliano 
                Scarpa comandante del Reggimento Fanteria Speciale “Legnano”. 
                Dopo un primo momento di imbarazzo dovuto alla mia età, ero minorenne, 
                ma di fronte alla mia risolutezza, accoglie la nostra richiesta 
                di arruolamento volontario assegnandoci entrambi alla 108ª compagnia 
                del Battaglione Alpini “L’Aquila”, mio fratello come autista ed 
                io quale conducente muli delle salmerie. Qualche giorno dopo ero 
                vestito in divisa militare con tanto di cappello, penna nera ed 
                un bel mulo. Non ricordo quale fosse il suo “vero” nome di matricola, 
                io lo chiamavo “la checca” in onore al mio soprannome “il checco” 
                diminutivo di Francesco. Forse in quel momento non mi rendevo 
                esattamente conto cosa significasse veramente essere “Alpino” 
                ma ben presto ho capito. Mi hanno certamente aiutato i “veci” 
                reduci della Grecia e della Russia con i loro “racconti” e con 
                l’esempio della loro “alpinità” vissuta per l’onore delle “fiamme 
                verdi” e della “penna nera”. 
              
                 
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                      Le salmerie della 108ª 
                        compagnia in marcia dal Passo della Raticosa verso il fronte 
                        emiliano.
                      L’ultimo a destra, di spalle, Francesco Ventura.
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                      Un momento di sosta della 
                        108ª compagnia durante la marcia verso la prima 
                        linea. 
                      Al centro sotto la finestra Francesco Ventura.
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              Il 
                10 di marzo del 1945 ci giunge l’ordine di avanzata per entrare 
                in linea. Tutto il Reggimento, del quale fanno parte oltre al 
                Btg. alpini “L’Aquila”, il Btg. alpini “Piemonte”, il Btg. Bersaglieri 
                “Goito”, 2 compagnie mortai, 3 compagnie armi accompagnamento 
                e 4 compagnie comando e servizi, è in marcia per la direttrice 
                Scarperia, Passo della Raticosa, Monghidoro, La Martina, Cà del 
                Vento, Parrocchia di Vignale, Montecorona. Il mio battaglione 
                viene dislocato a Montecorona; siamo in linea! Poi di nuovo avanti 
                per la Valle Idice oltrepassando Monterenzio fino alla delicata 
                e strategica località Cà di Bazzone dominata dall’alto da una 
                forte posizione nemica. Qui il 23 marzo durante una pattuglia 
                per esaminare la possibilità di strappare quella quota al nemico, 
                cade eroicamente il nostro comandante di Battaglione, Maggiore 
                Augusto de Cobelli, che verrà decorato di medaglia d’oro al valor 
                militare. Finalmente il 10 aprile un nuovo ordine; avanzare a 
                tutti i costi, direttrice Bologna! Possiamo finalmente vendicare 
                il nostro Magg. De Cobelli. Occorrono dieci giorni prima di arrivare 
                a Bologna, dieci giorni di aspri combattimenti ma anche di decisa 
                volontà. Sappiamo che il nostro fratello Btg. alpini “Piemonte”, 
                al quale è stata assegnata un’altra direttrice, ha l’ordine di 
                raggiungere Bologna nella mattina del 21 aprile, ed infatti alle 
                ore 6 giunge a Porta Santo Stefano per sfilare poi nel centro 
                della città. Il Btg. alpini “L’Aquila” ha invece l’ordine di retroguardia, 
                infatti la nostra direttrice è la Via Emilia. Entriamo nella periferia 
                di Bologna nella zona del quartiere San Donato alle ore 6 del 
                pomeriggio. Le salmerie ed i muli vengono sistemati nelle scuole 
                “Giulio Giordani” che sono a cento-centocinquanta metri da casa 
                mia. La nostalgia di casa è forte, desideravo tanto poter abbracciare 
                e tranquillizzare babbo e mamma che non sapevano che ero così 
                vicino. Non è possibile! Devo consegnare il mio mulo in quanto 
                giunge l’ordine di ripartire subito. E’ notte inoltrata quando 
                tutto il battaglione compresi i 4 pezzi (i cari 75/13 dell’artiglieria 
                alpina) è caricato sui camion, senza le cucine campali a seguito 
                ma solo con i viveri da combattimento individuali, partiamo. Dopo 
                due giorni si giunge a Ponte di Legno dove siamo destinati di 
                presidio. La mia compagnia, la 108ª, viene poi dislocata al Passo 
                del Tonale per rastrellare e disarmare i numerosi sbandati tedeschi 
                presenti in Val Camonica. Ai primi di giugno cominciano ad arrivare 
                i primi fonogrammi con l’ordine di smobilitazione dei “volontari”. 
                Vengo chiamato a rapporto dal Col. Galliano Scarpa, comandante 
                del Reggimento, che dopo brevi convenevoli mi pone due possibilità: 
                o subito a casa in congedo per poi essere chiamato con la leva 
                della classe 1928 per fare i 18 mesi previsti o continuare la 
                naja ed in questo caso saranno conteggiati i mesi già svolti. 
                Sinceramente ero in serio imbarazzo, la nostalgia di casa era 
                molto forte e non sapevo decidermi, allora il Col. Scarpa che 
                leggeva il tentennamento della scelta, paternamente mi disse; 
                se tu fossi mio figlio ti consiglierei di toglierti il pensiero 
                subito continuando la naja. Se ti confermi questa è una licenza 
                senza data di rientro al reparto, vai a casa, saluta i tuoi, riposati 
                poi ritorni presentandoti a Tarvisio. Era un atto di fiducia che 
                non potevo non accettare. Sono passato in fureria dove ho ritirato 
                la licenza e la “decade” più gli arretrati, era una bella somma. 
                Dopo circa un mese di licenza dove ho cercato di vivere anche 
                gli arretrati, la bella somma era praticamente finita anche perché, 
                da figlio rispettoso, buona parte era stata messa a disposizione 
                in casa. Sono “in bolletta”, decido di partire, ed ai primi di 
                luglio mi sono presentato nella caserma di Tarvisio dove era in 
                fase di rinascita il nuovo Btg. Alpini “L’Aquila”. Sono stato 
                nuovamente assegnato alla mia vecchia compagnia, la 108ª, formata 
                ora nella quasi totalità da giovani chiamati di leva, ed essendo 
                il più “anziano” di servizio sono stato subito promosso caporale 
                ed il mese successivo caporalmaggiore. Qui sono rimasto fino alla 
                fine di settembre 1945 poi col reparto ci siamo trasferiti nella 
                nuova sede a Conegliano. Col 1° gennaio 1946 sono stato promosso 
                sergente con incarico di sottufficiale addetto alle salmerie della 
                108ª compagnia del Btg. Alpini “L’Aquila” dell’8° Reggimento Alpini 
                e alla fine di luglio sono stato congedato con la nomina a sergente 
                maggiore. 
              Avevo 
                concluso il mio servizio alla Patria ed ero fiero della mia appartenenza 
                ad un glorioso reparto alpino. Il 25 maggio 1950 sono stato chiamato alla visita di leva con la classe 1930 ed avendo presentato la documentazione rilasciatami dal comando del Btg. Alpini "L'Aquila" che attestava il mio "servizo militare come volontario" già svolto, sono stato lasciato in congedo provvisorio in attesa di verifica da parte dell'autorità militare. Il 4 febbraio 1952 sono stato ammesso al rinvio di eventuale chiamata alle armi in epoca da determinarsi. Finalmente il 25 maggio 1953 mi è arrivata la dispensa alla ferma di leva, ed iscritto nella forza in congedo del Distretto Militare.